Il
mio arco di esperienza nella regia dello sci alpino e nordico va dal
1981 al 2007, dalla prima esperienza della discesa libera della Val
Gardena allo slalom e al gigante delle Olimpiadi di Torino. E’ passato
un quarto di secolo, che corrisponde – all’incirca – a metà della storia
della televisione. Geograficamente, ho toccato quasi tutte le valli
alpine del versante italiano con le gare di Coppa del Mondo, fino
all’esperienza dei primi Mondiali della Valtellina dell’ ”85, alle
Olimpiadi di Albertville del “92, ai due Mondiali italiani di fondo
della Val di Fiemme del “91 e del 2003, fino alle Olimpiadi di Torino
del 2006.
Cosa è cambiato in questi 25 anni? Molte cose (e
moltissime in positivo) ma voglio esaminarne due: il ruolo della
regia e del regista nel sistema produttivo e la standardizzazione del
linguaggio di ripresa. A mio modo di vedere, l’una influisce
sull’altra.
Ciò che all’inizio della mia esperienza era
interpretazione e invenzione, incertezza ed errore del regista, oggi è
competenza, pianificazione e standardizzazione del linguaggio di
ripresa.
Dobbiamo fare due ovvie precisazioni. La prima è che
la tecnologia muove le forme di comunicazione e la tecnologia della
televisione è molto cambiata in questo quarto di secolo. La seconda
è che l’organizzazione del grande evento reclama la razionalizzazione
dei processi produttivi con ampie ricadute su quelli linguistici. Oggi
si decide a tavolino che in ogni pista ci sarà il supporto di una sky
cam, una polecam, un crane e, magari, una pista ne reclama due e
un’altra nessuna. Ma, il linguaggio si è standardizzato in senso
negativo, indipendentemente dalle tecnologie di ripresa e dal
cambiamento dei processi produttivi. Come altra faccia della
medaglia, il secondo fattore della omogeneizzazione del linguaggio è
stata l’evoluzione (fino all’estinzione) del ruolo del regista nelle
forme in cui esso si era configurato nel primo quarto di secolo della
televisione. Sembrerebbe un processo inevitabile, che si ripropone
costantemente nella storia. Nel Rinascimento Italiano la figura del
grande architetto (Brunelleschi, Michelangelo) spegne l’artigianato
individuale; allo stesso modo, la Rivoluzione Industriale dell’800
elimina il falegname artigiano e ne fa un operaio della catena di
montaggio. Oppure? Oppure ne fa il designer che inventa il mobile a
tavolino. Anche il vecchio regista diventa l’una o l’altra cosa.
Questo – a me sembra - è successo con la moderna organizzazione
mondiale ed olimpica: la separazione tra l’ideazione a tavolino e la
realizzazione sul campo. La mia opinione è che non ci si debba
opporre ai processi storici ma che da qui bisogna ripartire, facendosi
alcune domande: il nostro è solo un prodotto industriale? Cosa abbiamo
prodotto se non la standardizzazione “corretta” della ripresa?
Se
la mia analisi tocca almeno un aspetto del problema, vado diritto alle
possibili soluzioni. Dobbiamo fare il modo che, ricco
dell’esperienza industriale del grande evento, il nuovo regista lasci il
tavolino e scenda di nuovo in pista, torni a sentirla sotto gli sci,
provi l’emozione del salto, l’ebbrezza della velocità, la difficoltà
delle traiettorie, se la faccia spiegare dal competente e la traduca
(così come solo il regista sa fare) in posizione camera, supporto
camera, inquadratura, movimento, stacco, fino alla messa in onda.
Dobbiamo abbandonare lo standard codificato, rischiare la rottura delle
regole e ritornare alla ricerca sul campo. Dobbiamo ricomporre la
dualità tra architetto e artigiano, artigiano e operaio, invenzione e
serialità. Dobbiamo dunque rifare i conti con il processo
industriale, che non si deve negare, perché ci ha dato riprese migliori,
ma che sembrano ormai prive di emozioni.
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