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Le riprese televisive si occupano di “quanto
visivamente accade”, ovvero – per dirla con paroloni - della
“fenomenologia spazio-temporale dell’evento” (e non della sua ontologia,
che spetta giustamente alla parola, al commento verbale). Se così è,
certamente non si può comparare la performance spazio-temporale di un
Gran Premio di F1 con la benedizione del Papa in piazza San Pietro; o
una partita di calcio ad un congresso di partito; o un meeting di
atletica ad una mostra d’arte. E’ per questo che lo sport è una sfida per lo
sviluppo della televisione. Oggi le riprese (regia e tecnologia) devono
raccontare quanto lo spettatore reale non riesce a
vedere (ogni fase di una discesa
libera di sci) e spiegare quanto non si è percepito (se il piede è
entrato sulla palla o sulla caviglia dell’avversario). La ripresa deve
mettere ordine nelle performances che si svolgono contemporaneamente in
uno stesso luogo (l’ atletica, che è disciplina multipla) e nelle
situazioni che si presentano nello stesso tempo ma in luoghi visivamente
distanti (un fuori pista e un sorpasso in una gara di F1). La regia
dello sport deve essere in grado di fare fronte ad avvenimenti
programmati (la ginnastica) e avvenimenti basati sull’improvvisazione
(la partita di calcio). Alla fine, la sfida del regista sportivo è
quella di fare racconto dell'invisibile e del simultaneo, del
programmato e dell'estemporaneo, facendo chiarezza dei fatti. Quale
migliore banco di prova per le tecnologie televisive? Cosa c'è di più
vario e complesso della evoluzione spazio-temporale della performance
sportiva?
La televisione nasce nella prima metà del XX secolo
e si sviluppa nella sua seconda metà. L’incontro tra televisione e sport
è immediato ed è affascinante seguire l’evoluzione delle riprese e la
nascita del linguaggio così come si è sviluppato nell’ambito dello
sport. Lo spettacolo più popolare è quello che si svolge allo stadio e
il calcio, per antonomasia, ha dato e ricevuto molto dalla televisione: Lo sviluppo delle tecnologie fu di fondamentale
importanza negli Anni 60. Il campionato del mondo giocato in Svizzera nel
1954 è il primo trasmesso in eurovisione ma la mancanza del satellite
geostazionario (che è del 1964) impedisce la diretta di quello cileno
del 1962. Già agli inizi di quegli anni, gli obiettivi fissi vennero
sostituiti dallo zoom; a metà apparve il colore, dopo una lunga
sperimentazione e si diffuse in Italia dieci anni dopo; alla fine del
decennio arrivano il ralenti e la camera a spalla. La partita
Germania-Brasile del 1963 offre le prime sovrimpressioni grafiche e già
nel ’70 questa informazione si propone in termini anche esteticamente
accettabili. Negli anni si è capito che l’esuberanza informatica e
statistica risulta estranea alla natura del calcio. Ma la grafica
sarà funzionale nel basket e –
almeno per gli allenatori – nel volley. Ma provate a pensate ad una
America’s Cup di oggi senza il supporto grafico!
E’ la finale tra Inghilterra e Germania del
Campionato del mondo 1966 il risultato compiuto della copertura
televisiva del calcio dell’epoca. Non solo per un numero di telecamere
che non si era mai visto (ben 9 sulla partita e 2 sulle panchine che,
nel vecchio Wembley, erano sul fronte opposto a quello di ripresa), ma
anche per una camera panoramica (beauty shot), per il primo uso di una
camera a spalla (hand camera), per i primi replay. Siamo alla fine degli Anni 60. Mentre la pubblicità
entra negli stadi e la televisione interferisce sull’ora del calcio
d’inizio della partita, si sviluppa una nuova sensibilità per gli
effetti sonori e già il ralenti viene utilizzato – come oggi - per
analizzare l’azione. Il replay, la ripetizione dell’azione e la sua
variante rallentata, il ralenti, fanno capo ad una tecnologia prodotta
dall’Ampex già nel 1956; in un decennio la società americana ha già
invaso il mercato. Non abbiamo ancora parlato di microfoni ma la
televisione è evidentemente audiovisiva: la ripresa sonora (come il
colore) accentua il realismo delle immagini e trasporta il
telespettatore nel centro dell’azione. Bisogna riconoscere che la
richiesta di una diversa della qualità dell’audio viene, storicamente,
dagli stessi telespettatori. Quando arriva l’apparecchio televisivo,
molti di essi, in casa propria, ascoltano dischi che portano la
dicitura” mono-compatibile”, oppure possiedono già un impianto
stereofonico. Qualche anno dopo scopriremo
il coinvolgente effetto surround, distribuito nelle cinque casse
del moderno impianto home theater. Oggi è addirittura possibile, con il
sistema 5.1 (cinque punto uno), spostare la direzione di provenienza
delle singole fonti, per esempio posizionando la telecronaca al centro e
Giro d’Italia 1998. Cipollini vince a Lecce in volata e con lui taglia il traguardo, per la prima volta in una corsa su strada, una microcamera montata sulla sua bicicletta. Elicotteri da ripresa, elicotteri ponte, aereo, moto da ripresa, moto cronaca e anche microcamere: il ciclismo è sport televisivo per antonomasia. La percezione diretta e personale della corsa è un ricordo di chi è stato bambino nel dopoguerra, rinnovato oggi dalle folle plaudenti dei tapponi alpini: una lunga attesa sul ciglio della strada, una festosa carovana pubblicitaria, la staffetta della polizia, l’auto del direttore di corsa e poi tanti girini tutti insieme, una folata di vento seguita dalla fila delle ammiraglie. Ed era tutto finito! Chi avrà vinto; per fuga, in volata, per distacco; con quali alleanze, quali strategie, non è dato sapere. Di che cosa si parla allora fino a quando una moto con telecamera non entra in corsa e non si alza il primo elicottero per raccoglierne il segnale? Del sentito dire, del riferito, del raccontato dai “testimoni”: ma lo spettacolo della gara ciclistica, così come lo concepiamo ora, non era ancora nato. Oggi il ciclismo di cui si scrive e di cui la gente parla è quello visto in televisione; il suo fascino deriva anche dal fatto che per le riprese vengono utilizzate tecnologie fra le più moderne e sofisticate. Quando nascono? Le radiocamere, le camere cordless, vengono sperimentate in Italia
dal Laboratorio Ricerche della RAI di Torino – all’avanguardia in Europa
- e trovarono una loro applicazione a bordo di un’auto, di una moto o di
un elicottero alla fine degli Anni 70. L’operatore in volo lavorava con
la telecamera in spalla, seduto sul pianale dell’elicottero e con i
piedi appoggiati ai pattini. Qualche anno dopo venne aiutato dall’elivision,
una sorta di forcella sulla quale si appoggiava la telecamera. Derivata
da tecnologie militari, alla fine del decennio comparve
Due fatti concomitanti favoriscono la duttilità dei sistemi di ripresa ereditati dagli Anni 90: l’abbandono delle camere su cavalletto per la progressiva miniaturizzazione delle telecamere e l’evoluzione dei supporti camera, i dispositivi che servono ad ospitarla e muoverla. La tecnologia dei supporti offre infinite possibilita’, estetiche e funzionali. Ogni telecamera a comando remotato, montata su una testata, offre inquadrature da posizione inusuali, che non sarebbero consentite se il cameraman dovesse essere sul posto. Nasce una nuova produzione di immagini, affatto sconosciuta negli Anni 80, e la rivoluzione del linguaggio è evidente. Scompaiono, con il classico treppiede, le telecamere che hanno configurato i razionali spazi euclidei degli studi. Al loro posto irrompono le hand camera (come quelle che si usano in famiglia per il film di Natale), la microcamera e una serie di supporti sempre più specialistici. L’inquadratura di una telecamera posizionata su un braccio (crane), con cui alzarsi dal livello del giocatore della pallavolo in battuta (o del portiere che rilancia) per scoprire il campo di gara, non e’ solo esteticamente gradevole: e’ anche funzionale a descrivere la fase di gioco, coniuga il gesto e lo spazio in un movimento in piano sequenza. Allo stesso modo, un braccio che si alza e accompagna l’atleta del salto in alto o raggiunge i sei metri del salto con l’asta, è funzionale alla visualizzazione del movimento dell’atleta oltre a dare l’emozione di saltare con lui. Un braccio e’ funzionale, non solo se specifica meglio il gesto atletico, ma anche se risolve un problema di visibilita’. Spesso, in montagna, la telecamera puo’ affacciarsi da un dosso o dietro una curva solo se posizionata su un braccio che, muovendosi, scopre una parte di pista della discesa libera. Ma le telecamere leggere possono volare su un sistema di cavi. La sky-cam o fly-cam o spider-cam, che viaggia su cavi di kevlar, puo’ accompagnare gli atleti dello sci nordico sulle pista tra i boschi, così come quelli di una pista di cross, superando dislivelli, variazioni di percorso e ostacoli naturali. Può anche attraversare lo stadio da curva a curva, seguendo la partita o appoggiando corse e concorsi in atletica. Il processo delle camere in movimento e’ inarrestabile anche a terra: la steadicam si muove senza sobbalzi intorno agli atleti, la rail camera corre con loro sulla corsia dei 100 metri, la polecam sostiene un micro-camera su una sorta di canna da pesca e si muove con libertà tra le panchine e le fila del pubblico. Le microcamere invadono gli spazi e gli attrezzi dello sport: viaggiano a bordo delle canoe o degli armo del canottaggio, scrutano lo scavalcamento delle assicelle dei saltatori, misurano la battuta nel salto in lungo. Le telecamere possono stare ferme, ma possono anche viaggiare accanto ai piloti, a grande velocità, a bordo delle monoposto di Formula 1, sulle moto della Superbike o negli abitacoli degli Aermacchi delle Frecce tricolori. In terra, in aria, ma anche in acqua: le telecamere si muovono e volano ma possono anche immergersi. La telecamera blimpata e impermeabile all’acqua è di antica tradizione. Ma il primo binario subacqueo fu appoggiato sul fondo della piscina Piccornell di Barcellona, per le Olimpiadi del 1992. I loro inventori, padre e figlio, muovevano la telecamera sul binario in maniera artigianale, tirando il cavo pedalando, con un sistema costruito effettivamente con i pedali e la catena di una bicicletta. Solo quattro anni dopo, alle olimpiadi di Atlanta, gli americani mostrarono la telecamera a caduta per seguire i tuffi dalla piattaforma. Telecamere sopra o sotto l’acqua, ma anche half-half, che entrano ed escono dall’acqua: basta montare una microcamera subacquea ad una polecam per entrare ed uscire con l’atleta dalla vasca; far vedere come si compongono sotto l’acqua quelle perfette figure del nuoto sincronizzato che poi ammiriamo sopra il livello dell’acqua; come sia stato placcato, sott’acqua, il centro boa della pallanuoto di cui abbiamo visto il movimento scomposto sopra l’acqua o quale stile e sforzo abbia prodotto, sotto il pelo dell’acqua, il nuotatore di cui abbiamo ammirato la vittoria dalla tribuna. Senza la miniaturizzazione delle telecamere e l’invenzione dei supporti non sarebbero state possibili le microcamere sulle auto, sulle moto, sugli sci, sulle biciclette, sulle canoe, sui caschi ecc.; ne’ le telecamere ipogee, per avere la sensazione di guardare la corsa facendosi passare sopra dalle ruote delle moto o delle auto e – all’opposto – di quelle verticali, con cui controllare, dal punto di vista del lampadario, le perfette geometrie delle palle sul panno verde del tavolo da biliardo. In questo, la tecnologia di ripresa ha interpretato alcune delle caratteristiche piu’ evidenti della televisione moderna: l’abbandono della staticità a favore del movimento e il punto di vista inusuale o nascosto (il back stage). Lo spettacolo, la musica, il talk show e addirittura gli studi delle news offrono sempre piu’ immagini in movimento, o immagini “rubate” o cosiddette“sporche”, al punto da far apparire le classiche telecamere fisse su cavalletto un residuato della prima televisione, quella della nostra infanzia.
Ci avviciniamo alla fine del secolo e la
rivoluzione è quella del digitale. Con il digitale, un segnale che varia
nel tempo viene sostituito da una sequenza di numeri composti in
algoritmi, riproducibili
senza errori e senza perdite, con i quali è più semplice costruire,
riprodurre e trasmettere il segnale. Anche le modalità di ripresa e il
linguaggio dello sport ne sono investiti: le tecnologie digitali e le
ottiche più sensibili ci consegnano immagini meglio definite, una
capacità di produrre inquadrature qualitativamente diverse dalle
precedenti, al punto che la semiologia dello sport va totalmente
ripensata. Con il formato in 16:9 il quadro televisivo interpreta meglio
la realtà che è consentita all’occhio umano; con il miglioramento delle
ottiche, i primi ed i primissimi piani, le emozioni dell’atleta
irrompono in scena come mai era successo in precedenza. Le riprese
diffuse in alta definizione sono oggi il nuovo limite tecnico al quale
si affacciano platee sempre più ampie di telespettatori. Nello stesso
tempo, la più bella immagine che la storia della televisione abbia mai
conosciuto, capace di concorrere alla pari con quella cinematografica,
si frantuma e si degrada nei cellulari e nei PC, via streaming. Ma se la tipologia e la qualità delle telecamere e
delle ottiche ha consentito di migliorare la produzione, la definizione
e la stabilità delle immagini, sotto l’ombrello digitale è
l’hard disk che rivoluziona il sistema dei replay e rompe la
barriera tra diretta e registrazione. Detto in termini semplici, il
passaggio dalla registrazione su nastro a quella su disco, con la
possibilità di questo di continuare a registrare mentre sta trasmettendo
(back up), con la facilità di archiviare, selezionare e reperire
immagini all’istante (instant replay), con la possibilità di gestire
tutte le fonti tramite un server apre nuove opportunità nella
costruzione del racconto. Nasce una doppia lettura dell’avvenimento;
quello live, di superficie, e quello di approfondimento, di dettaglio.
Il materiale non manca: con la possibilità di registrazione di tutte le
camere, nulla dell’azione va più perduto. Vengono messe in campo una
serie di camere destinate ai dettagli (camere dedicate) che non sono
stati visti durante l’azione sportiva ma che possono essere rielaborati
e riproposti. In nessun modo sarebbe possibile, in tempo reale, mettere
in fila tutte le azioni che riguardano un giocatore protagonista per
ricordare il suo palmares prima della sua prova in campo o per
riassumere la sua performance prima che esca dal campo. La pausa nella
partita (calcio, basket, pallavolo) può essere riempita dalle
espressioni registrate dei giocatori durante le azioni precedenti.
Ad ogni replay dell’azione segue
il replay della reazione emotiva. Tutto questo è consentito dalla
tecnologia dell’hard disk e dalle capacità dei server di elaborare le
immagini. Queste innovazioni tecnologiche e linguistiche sono in grado
di modificare nella sostanza il racconto televisivo dello sport. La
realtà in campo, una volta strettamente legata ai tempi della diretta e
difficilmente recuperabile, può oggi essere interpolata e così
facilmente riproposta, al punto che non sai se una reazione è colta in
diretta e quindi legata a quanto è appena successo oppure se è stata
estrapolata da un diverso contesto e ricollocata. Addio vecchio replay!
La classica “riproposizione dell’azione da un punto di vista
diverso” oggi si chiama “clip”; l’azione sportiva va preceduta da un “coming
in” ed è il “coming out” a chiuderla; non si parla più di ripetizione
dell’azione ma di high ligths e spesso è la rielaborazione degli high
lights a fare l’evento. Rivoluzionando il rapporto
registrazione-diretta, l’hard disk mette in crisi quello tra verità e
ricostruzione, tra cronaca e fiction. Il confine è sempre più labile.
Dalla televisione referente, finestra aperta su un mondo da
interpretare, si passa ad una televisione essa stessa unica interprete
del mondo. Dov’è allora la realtà dell’evento, dove la sua finzione? |
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Giancarlo TOMASSETTI |