…
2.
Il punto di vista del regista
2.1 Le origini
Il ciclismo fin dalle origini è stato uno sport molto popolare, cui si
assisteva appostandosi ai bordi delle strade o al traguardo. Oggi
il ciclismo di cui si scrive e di cui la gente parla è quello visto
in televisione; il suo fascino deriva anche dal fatto che nelle riprese
televisive vengono utilizzate tecnologie fra le più moderne e sofisticate.
La
percezione diretta e personale della corsa è un ricordo di chi era
bambino nel dopoguerra, rinnovato oggi dalle folle plaudenti dei tapponi
alpini: una lunga attesa sul ciglio della strada, una festosa carovana
pubblicitaria, la staffetta della polizia, l’auto del direttore di
corsa e poi tanti girini tutti insieme, una folata di vento seguita
dalla fila di ammiraglie. E tutto era finito!
Ma
la gara ciclistica, è del tutto evidente, non può essere vissuta per
esperienza diretta, se non per qualche frammento. Fu l’avvento dei
cinegiornali prima e della televisione poi a dare un senso a qualche
fase della corsa. Chiaradia, il primo operatore RAI che seguì il
Giro d’Italia a bordo di un’auto scoperta (una mitica spider azzurra),
selezionava frammenti di gara che, pazientemente montati, avrebbero
ricostruito la sintesi di un fatto già avvenuto. Quando arrivò la
diretta televisiva, essa si limitava alla ripresa del vialone di arrivo
per documentare, dopo una lunga attesa, l’esito finale di una corsa
non vista.
Di che cosa si parla allora
fino a quando non si alza il primo elicottero da ripresa? Del sentito
dire, del riferito, del raccontato dai testimoni: ma lo spettacolo
della corsa ciclistica, così come lo concepiamo ora, non era ancora
nato.
2.2 Le riprese in movimento negli anni '80
Sono stato testimone (e corresponsabile)
del ciclismo televisivo degli anni 80, un decennio appassionante durante
il quale è avvenuta l’evoluzione dei sistemi di ripresa in movimento.
Sull’elicottero della RAI, una libellula leggera che dal suo abitacolo
trasparente consentiva una visione a 180 gradi, gli operatori lavoravano
ancorati al seggiolino e con la telecamera sulla spalla. Qualcuno
s’era fatto legare sotto la pancia dell’elicottero, ma l’esperimento
venne presto vietato.
Nel
1982 l’aeromobile ospitò il sistema “elivision”: si trattava di una
sorta di forcella sulla quale era appoggiata e bilanciata la telecamera.
La mancanza della portiera favoriva l’installazione dell'apparecchiatura;
ma qualche operatore andò in crisi, non avendo più il suo strumento
di lavoro appoggiato sulla spalla.
L’unico
elicottero in volo ospitava la telecamera per la ripresa e le apparecchiature
di ricezione per i segnali delle due moto che seguivano la corsa e
la loro trasmissione al punto intermedio di terra (foto 1). La copertura
da elicottero e moto era il risultato di un difficile compromesso:
l’elicottero doveva stare in quota per essere in vista dal punto di
ricezione a terra e offrire alle moto un cono di copertura che consentisse
loro di distanziarsi l’una dall’altra. Ma, salendo, impediva una buona
ripresa alla telecamera che aveva a bordo. Le difficoltà legate all’orografia
ed alla situazione meteorologica facevano il resto.
Mediamente si riusciva a coprire
30 Km di corsa e le moto non potevano distanziarsi molto tra loro.
In caso di distacchi consistenti, era l’elicottero a fare da “elastico”
coprendo alternativamente la moto sul fuggitivo e quella sugli inseguitori,
lasciando al buio ora l’una ora l’altra. La rigidità del sistema era
evidente.
Con
il Giro d’Italia del 1984, potemmo finalmente disporre di mezzi più
adeguati: un primo elicottero ospitava la telecamera, mentre un secondo
elicottero fungeva da ponte per i tre segnali provenienti dalle due
moto e dall’elicottero di ripresa. L’elicottero ponte poteva fare
quota mantenendo sotto il suo ombrello le tre telecamere, che potevano
muoversi liberamente sotto un cono più ampio. Come risultato avemmo
le migliori (e dal mio punto di vista ancora insuperate) riprese aeree.
La leggerezza del mezzo, la sua manovrabilità, la capacità dei piloti,
la bravura dei nostri tecnici e dei nostri operatori ci dettero, da
quel momento e fino a quando non cambiarono le regole del volo, le
migliori riprese in Europa.
Gli
investimenti per mantenere il nostro primato non si arrestarono: per
i campionati
del mondo di ciclismo del 1985, nel Veneto, potemmo contare su due
elicotteri ponte. Con il primo gestivamo i tre segnali provenienti
dall’elicottero di ripresa e dalle moto; il secondo poteva coprire
una terza moto da ripresa, libera di muoversi dove fosse opportuno.
Per la prima volta mettemmo in corsa un telecronista a bordo di una
quarta moto.
Derivata
da tecnologie militari, alla fine del decennio comparve la Wescam,
una palla ancorata a lato dell’aeromobile, che ospitava e manteneva
stabile la telecamera (foto 2). Il vantaggio di riprese stabili e
di zoom più spinti fu evidente, in una situazione in cui però si erano
prodotti dei fatti svantaggiosi per le riprese aeree: cambiarono infatti,
per motivi di sicurezza, gli elicotteri; cambiò il sistema di lavoro
dei piloti, costretti a tenere quote più alte, e degli operatori che,
chiusi nell’abitacolo, manovravano la telecamera tramite dei joy-stick
e non avevano più la possibilità di guardare a terra per vedere cosa
succedeva fuori del campo di ripresa. A ciò si aggiunsero le difficoltà
di disponibilità delle frequenze, dovute all’occupazione selvaggia
dell’etere.
La
nostra libellula aveva terminato il suo volo sulle strade del Giro
e tornava da dove era venuta: dal servizio civile, soprattutto in
montagna, e dal lavoro di irrorazione dei campi. Presero il suo posto
dei potenti biturbina
carenati e dotati dei sistemi per il volo strumentale, gli unici autorizzati
a sorvolare i centri abitati. Con queste apparecchiature, ulteriormente
arricchite, la RAI affrontò l’ultimo
grande avvenimento di ciclismo internazionale: i mondiali di Sicilia
del 1994. Per garantire la copertura aerea integrale della corsa,
il primo elicottero ponte raccoglieva i segnali della Wescam e delle
due moto da ripresa; il secondo elicottero ponte, che copriva la terza
moto da ripresa, fu anch’esso dotato di Wescam, garantendo così la
ripresa aerea anche durante il rifornimento del primo elicottero.
Il sistema era completato da due moto cronaca in corsa.
Questa
avventura tecnologica ed umana, alla quale hanno dato un contributo
di intelligenza e di passione alcuni dei migliori tecnici della RAI,
oggi quasi tutti in pensione, aveva dato i suoi frutti migliori a
metà degli anni ‘80, quando fummo vincenti nell’uso delle tecnologie
e nella capacità di saper raccontare il ciclismo con le immagini.
Tecnologia ed artigianato di ripresa: un binomio tutto italiano. Poi
nel 1993 il Giro d’Italia passò alla Fininvest, che utilizzò mezzi
e personale di ripresa francesi e dedicò alle riprese maggiore spazio
nel palinsesto. Infine nel 1998 il Giro d’Italia è tornato alla RAI ed il confronto
ci ha costretto a rinnovarci drasticamente.
2.3 Semiologia elementare
C’è una differenza evidente,
per il telespettatore, tra una telecamera su cavalletto ed una telecamera
mobile. La prima ti fa vedere come Schumacher affronta la curva; con
la mobile sali sulla Ferrari. Le camere fisse sono finestre aperte
sulla realtà. Le camere mobili portano lo spettatore dentro l’avvenimento
sportivo.
Quale
sia la differenza tra telecamera fissa e telecamera mobile per l’operatore
o il regista, per coloro cioè che costruiscono il linguaggio di ripresa
ed il racconto, è un po’ più complicato a dirsi. Ne abbiamo liberamente
parlato durante uno stage, a gennaio 1998, tra operatori, registi
ed esperti di ciclismo. Abbiamo esaminato le differenze tra inquadrature
da camera su cavalletto e piani-sequenza da camere mobili, le possibilità
di stacco tra i diversi segnali mobili, la possibilità di visualizzare
il distacco tra fuggitivi e gruppo inseguitore. Abbiamo approfondito
la diversa qualità delle immagini che produce una disciplina immersa
nel paesaggio (con i suoi contenuti urbanistici, architettonici e
naturali) e influenzata dalle condizioni meteo. Abbiamo visto come
le immagini da elicottero leghino la corsa al territorio, mentre quelle
da moto descrivano meglio le caratteristiche tecniche del percorso
e le performance degli atleti.
In
gara, dato lo schieramento dei mezzi, le regole elementari di ripresa
prescrivono che la moto 1 preceda il gruppo in attesa dello scatto,
la moto 2 sia sui primi per capirne le intenzioni, la moto 3 sia in
coda a documentare ritardi, cadute, o a far la spola con le ammiraglie.
Nel caso di fuggitivi ed inseguitori, la moto 1 è sui primi e la 2
sui secondi. L’elicottero raccorda le componenti della corsa, chiarendo
posizione dei gruppi e distanze.
All’approssimarsi
del traguardo, le moto abbandonano i ritardatari e accorciano la copertura;
l’elicottero inquadra con particolare attenzione i primi 10 o 15 atleti
che preparano lo sprint, accodandosi gli uni agli altri nella tipica
formazione dei trenini. Ma come si coniugano tra di loro le immagini?
Le
riprese in movimento sono “naturalmente" belle e semplici da
gestire: esse sono legate a poche regole da rispettare attentamente,
se si vuole conseguire chiarezza giornalistica ed eleganza di scrittura.
L’evidente essenzialità delle
immagini di una partita di calcio (il giocatore, il contrasto, il
movimento della squadra, perennemente collocati su un tappeto verde),
le caratteristiche stesse del calcio come disciplina sportiva, inducono
ad un montaggio serrato, a rapidi stacchi tra totali e primissimi
piani, a replay immediati. La ricchezza, invece, di uno scalatore
solitario che s’inerpica verso la cima, facendosi largo tra due ali
di folla e avendo intorno a sé le Dolomiti, questa ricchezza
di un paesaggio in continuo variare, consente di tenere il piano-sequenza
molto a lungo, anche per un minuto. Consente anche di alternarlo con
quello dell’elicottero, che pennella i tornanti descrivendo l’inseguimento
del gruppo che si va sgranando giù a valle, per un altro minuto o
anche di più.
Il
calcio è jazz, il ciclismo sinfonia: di musica sempre si tratta, ma
va suonata molto diversamente.
2.4 Le riprese al traguardo
Uno solo vince nel ciclismo,
uno solo è ricordato. Sul filo del traguardo tutti gli altri contano
solo per le classifiche.
La
telecamera che in lungofocale inquadra il gruppo ondeggiante, il totale
finale, è per tradizione e per necessità quella fondamentale nella
ripresa del ciclismo. Non sorprenda, però, che la sua funzione sia
quella di suggerire, piuttosto che di chiarire. Il regista prolunga
volutamente l’incertezza sull’esito dello sprint finale. Se volesse
svelare lo svolgimento, gli basterebbe staccare sull’elicottero: dall’alto
tutto sarebbe chiarissimo, ma le emozioni non sarebbero così intense.
Otto
telecamere all’arrivo ruotano intorno alla principale: la 1 e la 2
riprendono le ultime curve con inquadrature basse ad effetto, la 3
è in campo stretto sulla contesa dello sprint, la 4 in primissimo
piano sull’ultimo sforzo, la 5 raddoppia l’inquadratura sul perdente,
la 6 è sotto le tribune, appoggiata a terra, a fotografare dal basso
in alto il vincitore a braccia alzate, la 7 e la 8, due radiocamere,
raccolgono vincitore e sconfitto dopo il traguardo.
Un
uso saggio dei replay ricostruisce l’ultimo chilometro, spiega lo
sprint e regala le emozioni dello sforzo, della vittoria o della sconfitta.
2.5 Le microcamere
Cipollini vince a Lecce e,
con lui, taglia il traguardo una microcamera montata sulla bicicletta!
E’ accaduto nel 1998 per la prima volta al mondo in una corsa su strada.
Dal
mio particolare punto di vista —
quello della regia — io ritengo che la rivoluzione delle riprese televisive
di questi anni stia passando sul doppio binario della miniaturizzazione
delle telecamere e dell’invenzione di nuovi supporti. Sul fascio della
moto 3 (collegamento ricezione-regia) si sono alternate due microcamere
sulle bici o su di un’ammiraglia; all’arrivo, una microcamera montata
su di uno speciale supporto ha dato l’emozione dei ciclisti visti
da “sotto” l’asfalto.
Il
senso complessivo di queste ricerche è nel superamento delle frontiere
fisiche e nell’acquisizione di spazi nuovi per il giornalismo televisivo.
Sempre più la corsa potrà essere vista da “dentro” al gruppo, o in
soggettiva dell’atleta, o in colloquio con i direttori sportivi che
seguono la corsa dalle ammiraglie, regalando emozioni ed intuendo
strategie. Un progressivo trasferimento di microfoni e telecamere
ai protagonisti diretti dell’evento sportivo.
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