LA PARTITA IMMAGINARIA

Un racconto sempre più sofisticato accentua il distacco
fra telespettatore e tifoso allo stadio
COMPLETO


Fu il cinematografo ad offrire — negli anni Venti, a pochi tecnici ed appassionati — la prima rappresenta­zione visiva del calcio. Immagini mute, destinate ad ali­mentare la fantasia collettiva più che a documentare un evento. L’operatore sistemava la cinepresa a livello del terreno, dietro una delle porte, e aspettava che la palla arrivasse. Ne risultano, nei primi documenti, immagini senza spazio, per la cattiva rappresentazione del campo di gioco, e senza tempo, perché con quei brandelli di realtà montati in film non si percepisce la durata della partita. È la televisione che dà al calcio le sue coordinate fondamentali: la rappresentazione dello spazio, la unità di tempo e — cosa ancora più importante — la contestualità tra l’evento e l’immagine, cioè la verità stessa dell’evento per chi vi assiste da casa.  Perché le telecamere potessero sostituirsi alle macchine da presa cinematografiche, bisognò attendere la fine della guerra e gli anni Cinquanta.  In Italia, il 3 febbraio 1952, Juve-Spal radunò capannelli di gente davanti alle vetrine dei negozi di elettrodomestici di Torino. La scena divenne frequente in quegli anni in molte città d’Italia.  Le telecamere erano pesanti come armadi ed avevano ottiche fisse. Si posizionavano in tribuna centrale ad un’altezza che consentisse di vedere la linea laterale op­posta alla tribuna: non più in basso, perché si perdeva la percezione del campo, né più in alto perché i giocatori sarebbero apparsi schiacciati.

Due telecamere, una accanto all’altra e una di riserva all’altra, centrano il tema fondamentale della partita in modo semplice e comprensibile a tutti. Una camera in totale e una in campo stretto, una per il gioco e una per il giocatore, una per l’azione e una per l’emozione. Uno spettacolo nuovo rispetto a quello che si vede dalla tribuna. Il linguaggio televisivo del calcio nasce con queste due telecamere. Esse producono una serie di inquadra­ture, coniugabili una all’altra, capaci di interpretare, raccontare e spettacolarizzare l’evento. Dentro il campo, all’interno del rettangolo di gioco, questo linguaggio è costituito da non più di una dozzina di immagini. Vediamole una ad una.

Il “gioco con palla in movimento”, il continuum di gioco, si realizza con un totale e un campo stretto. Il totale (1) risolve l’interpretazione dello spazio, esprime il gioco collettivo e la sua geometria, esalta lo smarcamento del giocatore e il passaggio lungo, con­sente l’interpretazione del gioco da parte del telespettatore e lo induce alla partecipazione. Il totale rende possibile di valutare il fuori gioco, anche se è facile incorrere nell’errore di parallasse. Che l’inquadratura in totale sia la più importante nella ripresa televisiva deriva dalle caratteristiche stesse del gioco del calcio: nel cal­cio tutti e ventidue i giocatori più l’arbitro sono in gioco. Il giocatore che ha la palla la tiene in funzione del posizionamento degli altri e tutti dunque sono in gioco in quel momento, compresi gli avversari.

L’inquadratura in campo stretto (2) funziona per il passaggio corto e per le situa­zioni in cui i giocatori vengono a confronto diretto: il tackle, il dribbling, la marcatura stretta. Questo campo esalta la capacità e la forza del gioco individuale, la tensione emotiva del giocatore e l’espressione del suo impegno durante le fasi di gioco. Esso offre una diversa emozione al telespettatore e lo induce alla ammirazio­ne della tecnica e dell’impegno agonistico, piuttosto che alla valutazione della fase di gioco globalmente intesa. Evidenzia la capacità del singolo, ma mette in se­condo piano l’aspetto tattico.

Queste due inquadrature sono sufficienti a descrivere il continuum di gioco e fanno la gran parte della partita.

A “gioco fermo” altre inquadrature documentano situazioni e protagonisti in campo. Una è per l’arbitro (3) e una per il portiere (4). Nel caso di fallo, un’inquadratura è per chi l’ha subìto (5) e una per chi l’ha commesso (6). Nel tiro di punizione o del calcio d’angolo, un’inquadratura è per chi tira (7) e una, quando si forma, per la barriera (8). Dopo il gol, momento liberatorio del calcio, un’inquadratura è per chi ha segnato (9) ed eventualmente un’altra è per chi ha fatto l’assist o l’ultimo dribbling vincente (10), se non per chi lo ha perso.

Ogni volta che il gioco riprende, per un tiro dall’angolo o per una rimessa dal fondo o per una rimessa laterale, il regista può proporre un’inquadratura d’attesa della palla (11) oltre quella di chi la rimette in gioco (12).

All’interno del rettangolo io non credo ci sia molto di più. La semiotica della ripresa televisiva del calcio si fa con una sola dozzina di immagini.

Appena usciti dal rettangolo di gioco, altre descrive­ranno gli altri protagonisti dell’evento: i guardalinee, le panchine, il pubblico; le situazioni pre e post-partita: il cerimoniale di inizio, la premiazione alla fine della partita, l’ambiente in cui essa si svolge. Ma, complessiva­mente, il vocabolario televisivo del calcio consta di poche parole.

Contravvenendo all’impostazione tradizionale della telecamera centrale in tribuna, si potrebbe immaginare che una veloce spinta offensiva o un improvviso contropiede o qualche altra fase di giocò possa essere ripresa dal totale di telecamere alte poste più a favore dell’asse longitudinale del campo, sulla diagonale o in curva. Questi punti di osservazione sono normalmente usati nei replay ma, in diretta, non si è mai fatta l’ipote­si di capovolgere il sistema di ripresa dalla telecamera centrale alle telecamere sulle curve. La partita televisiva si sviluppa sull’asse orizzontale del campo, al contrario della partita di tennis, per esempio.

Un’altra variante al totale della telecamera centrale potrebbe essere costituita dalle inquadrature di due ca­mere simmetriche tra loro, a coprire ognuna una metà del campo sullo stesso lato. Questa ipotesi fu fatta da Robert Kenny nel 1970 in Messico, ma non fu accettata per quel campionato del mondo. Se lo fosse stata, pro­babilmente le nostre convenzioni di ripresa sarebbero oggi diverse.

Queste ipotesi, ed altre che si potrebbero fare, con­travvengono infatti a delle regole codificate e in modo particolare a due di esse: che la partita debba essere vista dall’alto della tribuna e in asse col centro del campo (essendo considerata questa la posizione migliore) e che il punto di vista non cambi.

L’evoluzione del linguaggio ha però in parte modificato la rigidità di questi assunti.

All’inizio degli anni Cinquanta, la televisione aveva acquisito al calcio l’unità dello spazio e del tempo, rispetto alla frammentarietà dei montaggi cinematografici dell’anteguerra.

Lo zoom è del 1960. La ripresa si libera della durezza delle ottiche fisse e l’operatore, interpretando con la propria sensibilità gli spazi di gioco in un unico piano­sequenza ininterrotto, sembra ricondurre lo spettacolo alla continuità di chi lo vede dalla tribuna.

 Durante gli stessi anni Sessanta però, una maggiore attenzione ai protagonisti del gioco e la possibilità della ripetizione dell’azione, consentono una nuova rappresentazione del calcio. La televisione rifrantuma l’unità del punto di vista, collocando le telecamere in varie parti del campo per vedere meglio gioco e giocatori. La personality camera mette in crisi il piano-sequenza ininterrotto. La ripetizione dell’azione e lo slow-motion romperanno la convenzione del tempo reale come tempo televisivo.

L’unicum spaziale e temporale è definitivamente eclissato: il rapporto tra totale e campo stretto in asse, prima articolazione grammaticale tra due inquadrature, si arricchisce delle immagini provenienti da molti altri punti di vista. L’alfabeto della ripresa rimane lo stesso, cambiano però la qualità dell’immagine e l’articolazione del linguaggio. Nasce una "grammatica di ripresa" e si definisce in alcune situazioni chiave.

Durante l’azione di gioco, il totale può sempre essere alternato ad un campo più stretto sullo stesso asse e con la stessa angolazione.

Una serie di inquadrature provenienti da telecamere non in asse tra loro porta invece, solitamente, alla perdita della corretta percezione del gioco in movimento ed è molto fastidiosa. La continuità è una delle convenzioni operative della ripresa di una partita di calcio e si fonda su ragioni molto solide.

Nella fiction cinematografica un soggetto in movimento può essere visto da più punti di osservazione. Nel calcio, invece, giocano fattori diversi e concomi­tanti a sconsigliare uno scambio non ragionato del punto di vista: innanzitutto la assoluta imprevedibilità del movimento (contrariamente a quanto avviene nell’atletica, per esempio), poi la contestualità in gioco di più giocatori e la necessità di far capire la posizione sul terreno di ciascuno di loro. Ciò sarebbe molto difficile cambiando il punto di vista e alternando liberamente inquadrature di telecamere posizionate ovunque nello stadio.

Questa regola non impedisce, durante il continuum di gioco, di passare dal totale della telecamera in tribu­na al campo stretto della telecamera posizionata sul terreno tra le due panchine, perché tutte e due sono sullo stesso asse, come si è proposto in fig. i e 2. Un'quadratura dal basso è di grande suggestione, specie se usata in azioni che avvengono vicino alla telecamera. Il telespettatore ha l’impressione di scendere in campo tra i giocatori.

Tutt'altre regole valgono per le situazioni a gioco fermo: dopo il fallo, prima della punizione, prima del corner, prima della rimessa dal fondo o della rimessa  laterale, dopo il gol. In queste situazioni, l’alternanza di totali e campi stretti, anche non in asse tra loro, con diversa angolazione e purché nell’ambito dei 1800, consente una ricca articolazione di linguaggio e la piena espressione delle situazioni in campo.

A gioco fermo la perdita della corretta percezione degli spazi è poco influente, non tanto almeno da pre­cludere la possibilità di racconto. Un giocatore che in­veisce contro l’arbitro e l’arbitro che gli mostra il car­tellino di ammonizione, restano due fatti evidenti an­che se sono stati ripresi da due telecamere non in asse tra loro.

Questa maggiore libertà (non “assoluta” libertà) di coniugare le inquadrature tra loro porta ad un linguag­gio di ripresa, a gioco fermo, che si esprime in sequenze-tipo, più o meno ricche. Le esemplificazioni che qui se ne fanno con fotografie di frames (fermi di fotogrammi televisivi) richiedono di essere immaginate co­me vere e proprie strutture linguistiche, le Cui configu­razioni spaziali vanno lette in successione e in sviluppo temporale. Ne esaminiamo tre: un calcio d’angolo, un tiro di punizione, un rilancio del portiere.

Il calcio d’angolo potrebbe essere visto in modo più chiaro da una camera posta in tribuna sull’asse dei sedici metri, invece che da metà campo. La sequenza che mostriamo (questa e le altre due sequenze, così come i frames della pagina precedente, sono ricavati per omo­geneità da una sola partita: si tratta di Liverpool-Wimbledon giocata a Wembley per l’ultima edizione della Coppa di Inghilterra) propone inquadrature tradizionali, anche se molto efficaci. Al totale del campo di azione, dall’angolo alla porta, segue il posizionamento sotto area da camera bassa; quindi l’individuazione del giocatore abile nel gioco aereo e del difensore che pre­dispone i compagni. Il tiro è visto in campo stretto per individuare il giocatore e si conclude con la parata del portiere in totale.


Estratto della relazione tenuta al Seminario "Sports Presentation on TV- Soccer" tenuta alla Fuhrungs - und Verwaltungs - Akademie Berlin of German sports Federation (FVA) 15-17 sett. 1987
Pubblicato su "Prometeo"
(Marzo 1989)

 


Diego Armando Maradona dopo il primo gol nella partita Argentina Belgio del 23/06/86 a Città del Messico

 


1. Il totale

 


2. Il campo stretto

 


3. L'arbitro

 


4. Il portiere

 


5. Chi ha subito il fallo

 


6. Chi ha commesso il fallo

 


7. Chi tira il fallo

 


8. La barriera

 


9. Chi ha segnato

 


10. Chi ha fatto l'assist

 


11. L'attesa della palla

 


12. La rimessa in gioco

 


Poche varianti si danno a sequenze di questo tipo e la ricchezza delle inquadrature dipende dal tempo ne­cessario a sistemare la palla.

La preparazione al tiro di punizione può essere vista dalla camera centrale, ma anche da dietro la porta, con camera alta o bassa sulla diagonale del campo. Prendia­mo la classica punizione con barriera: nella sequenza che mostriamo la preparazione al tiro è vista da una camera posta dietro il portiere, il quale viene poi individuato frontalmente mentre dà disposizioni ai compagni. La barriera, controllata dall’arbitro, è sulla terza inquadratura; segue il campo stretto del giocatore incaricato del tiro e infine il totale da camera centrale prima dell’esecuzione. La sequenza potrebbe essere costruita con successione diversa, ma gli elementi di racconto restano sostanzialmente gli stessi.

Anche il rilancio del portiere consente alcune possi­bilità di coniugazione di inquadrature. La sequenza propone un totale visto dal portiere avversario, il contro campo del portiere che si appresta al rilancio, il to­tale d’attesa dei giocatori in campo, il campo stretto frontale del portiere che rilancia e, per concludere, il campo stretto dei due giocatori in contesa sulla palla.

Si tratta di una sequenza spettacolare, giocata sulle camere basse e sulla molteplicità dei punti di ripresa, che ha bisogno di un tempo sufficientemente lungo per essere realizzata.

Una variazione interessante al consueto modo di realizzare il rilancio del portiere è stata introdotta nella sequenza. Al momento del tiro, che qui avviene sul quarto frame, la palla potrebbe essere seguita in totale da camera centrale per tutta la sua traiettoria; oppure, come qui si è fatto, la telecamera può restare sul portiere, in attesa, fino al momento prima dell’arrivo a terra, che viene ripreso con campo stretto centrale sui giocatori in contesa. Il risultato dell’attesa sui portiere è una curiosa microfrattura del continuum visivo, che vorrebbe invece che si seguisse sempre la palla quando essa è in gioco.

Questo o poco più, per concludere, è il modesto ambito grammaticale consentito alla ripresa di una partita di calcio. Esso si può riassumere nella possibilità di variazioni di campo sullo stesso asse, con ò senza la stessa angolazione, durante il continuum di gioco; nella pos­sibilità di variazione di campo e di asse di ripresa a gioco fermo; nella possibilità di variazioni di asse e di campo ma con rientro sull’asse centrale nelle situazioni di ripresa del gioco.

 Ciò nonostante, la possi­bilità di scelta di inquadrature, pur avvenendo in un ambito non illimitato, può condurre ad interpretazioni sbagliate o fuori tempo. Il totale garantisce sempre, an­che se non nel modo migliore, la visione di quanto sta accadendo in campo. Il gioco delle personality cameras, la frammentazione eccessiva della sequenza, può invece portare ad una complessiva perdita di significato. Se la bella inquadratura del giocatore a terra impedisse di vedere l’arbitro che mostra il cartellino al giocatore che ha commesso il fallo, se le scuse di questo nascondessero alla vista la reazione di un avversario contro un suo compagno, ci si potrebbe trovare di fronte a una bella sequenza priva di senso. Una sequenza inutile in sé e dannosa per il racconto.  Il racconto televisivo della partita si è inizialmente costruito sulla interpretazione degli spazi del campo, tramite l’alternanza tra totale e campo stretto, gioco di squadra e gioco individuale. Il bianco e nero smateria­lizza situazioni e giocatori; il colore, già tecnicamente possibile alla metà degli anni Sessanta, trova la sua dif­fusione con i campionati del mondo del 1978 in Argen­tina. La ripresa sonora compie un salto di qualità con le Olimpiadi di Montreal del 1976.

Colore e migliore ripresa sonora accentuano il realismo della rappresentazione televisiva. La specificità del suono sull’immagine, la sua individualità, mette il telespettatore in condizioni migliori di quelle degli spetta­tori allo stadio, i quali, molto spesso, percepiscono i giocatori in campo come dentro un acquario, in una indistinta cornice sonora.

La ripetizione dell’azione e la possibilità di rivederla da più punti di vista, la possibilità di rallentarla pér seguirne meglio lo svolgimento (i primi rallenty sono di venti anni fa), offre allo spettatore televisivo elemen­ti di valutazione maggiori di quelli che si hanno guar­dando direttamente la partita.

In questi anni abbiamo assistito all’ingresso in cam­po dell’informatica e poi della grafica e — da non molto — della elaborazione delle immagini analogiche televisi­ve in immagini sintetiche del graphic computer. Sul piano del linguaggio siamo nel pieno della drammatur­gia televisiva del calcio: il racconto procede autonoma­mente e indipendentemente dai modelli offerti agli spettatori privilegiati in tribuna o a quelli meno fortu­nati in curva. La tv è una continua trasgressione della partita come è vista dagli spettatori allo stadio. È un prodotto semiologico che non copia quello esperienzale, anzi! Lo modifica sostanzialmente, offrendo sensa­zioni e dati completamente diversi.

Alcune caratteristiche dei modi di racconto sono già evidenti quando si prendono in esame le immagini sta­tiche, le lettere dell’alfabeto televisivo del calcio. La stessa inquadratura, lo stesso campo, si ottiene posizionando la telecamera più in alto o più in basso sulle tribune, più vicino o più lontano dal campo di gioco. Altra cosa è rivedere il gol dalla camera alta in tribuna e con un totale, altra è rivederlo da una camera bassa, posta dietro la porta e in campo stretto. Il totale della camera alta e distante dal terreno esalta i contenuti in­formativi, esplica bene lo schema di gioco e la sua geometria. Il campo stretto della camera bassa e vicino al campo esalta i contenuti emozionali dell’azione indivi­duale. Con la prima risulterà chiaro lo smarcamento del giocatore, l’assist e la direzione del tiro; con la se­conda sarà evidente la potenza del tiro e lo sforzo vano del portiere di intercettare la palla. L’uso del primo o del secondo tipo di queste inqua­drature, l’abbondare cioè di camere alte, lontane e in totale, piuttosto che di quelle basse, vicine e in campo stretto, modifica sostanzialmente il senso complessivo della partita. Nel primo caso, il racconto privilegia i contenuti informativi, nel secondo quelli emozionali.

I primi racconti televisivi del calcio consideravano la continuità e la centralità del punto di vista come un dato essenziale della partita televisiva. Non era forse l’unico elemento capace di mutuare la mitica situazione dello spettatore in tribuna? Non si diceva che le teleca­mere erano “gli occhi del telespettatore?”

Attualmente i registi muovono liberamente il punto di osservazione delle telecamere secondo le fasi di gio­co, pur facendo differenze tra gioco in movimento, gioco fermo e ripresa del gioco. L’alternanza dei punti di vista, rispetto alla staticità di quello centrale, rende più gradevole la partita televisiva. Un linguaggio ricco esprime meglio quanto avviene sul campo, quando le scelte siano quelle opportune.

Sul piano del racconto, la differenza tra una ripresa impostata sulla camera centrale, rispettosa dei momen­ti vuoti di gioco (il recupero della palla, per esempio) o dei momenti di preparazione (del tiro di punizione, per esempio) e una ripresa che invece interpreta questi tempi con le personality cameras, cogliendo gli umori dei protagonisti oltre che gli schemi di gioco, è eviden­te. Il primo tipo di ripresa appartiene ad una televisio­ne referente, produce un racconto-documento della partita; il secondo gioca sulle interpretazioni e tende alla spettacolarizzazione. E questi due modi hanno cia­scuno un proprio pubblico di estimatori.

Altre modalità di racconto della partita televisiva si giocano sull’asse del tempo. Il tempo è il secondo para­metro su cui si imposta il racconto televisivo, conside­rando come primo l’interpretazione dello spazio per il tramite delle inquadrature.

La diretta televisiva nasce come identità tra tempo reale e tempo televisivo. Il replay è una deliberata rot­tura di questo principio. Con il rallenty siamo di fronte a una doppia manipolazione del tempo: la registrazio­ne rallentata è tempo posticipato e manipolato, un fat­to assolutamente televisivo.

L’alternanza di azione in diretta e azione registrata o rallentata, è oggi una delle condizioni essenziali al rac­conto della partita. Essa avviene con modalità diverse:

la maggior parte delle volte il regista manda in onda la ripetizione subito dopo che l’azione si è conclusa; qualche volta a distanza di tempo, quasi fosse una me­moria; qualche volta a tempo scaduto, come sintesi della partita o come prolungamento dello spettacolo che essa ha offerto.

L’uso del replay e del rallenty evidenzia in maniera ancora più chiara la diversità tra la situazione del telespettatore a casa e quella dello spettatore in tribuna. A fronte di un gol fatto o di un gol mancato o di un gol negato dall’arbitro, lo spettacolo televisivo consiste nella ripetizione chiarificatrice o edonistica dell’azione da gol. Tutt’altro avviene in campo. I due avvenimenti sono percepiti e vissuti in modo del tutto diverso.

La prossima rivoluzione del racconto televisivo del calcio potrebbe avvenire con le immagini sintetiche. Il graphic computer è in grado di ricostruire, in modo sempre più realistico e in tempi sempre più brevi, l’azione che si è svolta in campo.

Il racconto per immagini computerizzate può arric­chirsi di tutti i dati quantistici dell’azione e dei suoi protagonisti (distanze, velocità, occupazione degli spa­zi del campo, numero dei palloni presi, giocati, perduti ecc.). La telecamera del computer può offrire l’azione da qualsiasi punto di vista, comprese le soggettive del portiere o quella in movimento del giocatore che va verso la porta o quella dell’arbitro che accompagna l’a­zione o dello stesso pallone che viene lanciato. Addirit­tura può vedere l’azione da punti di vista impossibili: da sotto il terreno di gioco, per esempio.

Tra poco il graphic computer sarà in grado di ripro­porre istantaneamente le azioni riprese dalle telecame­re. Ne potrà derivare, in diretta, una sconvolgente commistione tra immagini analogiche e immagini sin­tetiche, con risultati simili — in diretta — a quelli che le rubriche sportive ci propongono già da tempo come analisi e approfondimento della partita.

Ma altro potrà ancora succedere. Il graphic computer è in grado di copiare l’azione di gioco, ma anche di inventarla. Può comporre sequenze di azioni esempli­ficative di un modulo di gioco e può individuare le contromisure tecnico-tattiche di quel modulo. Può estrapolare le caratteristiche di un giocatore, ricostruir­ne le masse muscolari e l’aspetto fisico, misurarne la velocità di azione, evidenziandone la tecnica e le carat­teristiche di gioco. Lo può far scendere in campo con giocatori di altre epoche. La partita impossibile po­trebbe essere, tra poco, possibile.

Un gioco? Un arricchimento dell’attuale partita tele­visiva? La prosecuzione di quel mito cominciato con il cinema muto o la sua parabola discendente?
 

Giancarlo TOMASSETTI

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