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Due telecamere, una accanto all’altra e una di riserva all’altra, centrano il tema fondamentale della partita in modo semplice e comprensibile a tutti. Una camera in totale e una in campo stretto, una per il gioco e una per il giocatore, una per l’azione e una per l’emozione. Uno spettacolo nuovo rispetto a quello che si vede dalla tribuna. Il linguaggio televisivo del calcio nasce con queste due telecamere. Esse producono una serie di inquadrature, coniugabili una all’altra, capaci di interpretare, raccontare e spettacolarizzare l’evento. Dentro il campo, all’interno del rettangolo di gioco, questo linguaggio è costituito da non più di una dozzina di immagini. Vediamole una ad una. Il “gioco con palla in movimento”, il continuum di gioco, si realizza con un totale e un campo stretto. Il totale (1) risolve l’interpretazione dello spazio, esprime il gioco collettivo e la sua geometria, esalta lo smarcamento del giocatore e il passaggio lungo, consente l’interpretazione del gioco da parte del telespettatore e lo induce alla partecipazione. Il totale rende possibile di valutare il fuori gioco, anche se è facile incorrere nell’errore di parallasse. Che l’inquadratura in totale sia la più importante nella ripresa televisiva deriva dalle caratteristiche stesse del gioco del calcio: nel calcio tutti e ventidue i giocatori più l’arbitro sono in gioco. Il giocatore che ha la palla la tiene in funzione del posizionamento degli altri e tutti dunque sono in gioco in quel momento, compresi gli avversari.L’inquadratura in campo stretto (2) funziona per il passaggio corto e per le situazioni in cui i giocatori vengono a confronto diretto: il tackle, il dribbling, la marcatura stretta. Questo campo esalta la capacità e la forza del gioco individuale, la tensione emotiva del giocatore e l’espressione del suo impegno durante le fasi di gioco. Esso offre una diversa emozione al telespettatore e lo induce alla ammirazione della tecnica e dell’impegno agonistico, piuttosto che alla valutazione della fase di gioco globalmente intesa. Evidenzia la capacità del singolo, ma mette in secondo piano l’aspetto tattico. Queste due inquadrature sono sufficienti a descrivere il continuum di gioco e fanno la gran parte della partita. A “gioco fermo” altre inquadrature documentano situazioni e protagonisti in campo. Una è per l’arbitro (3) e una per il portiere (4). Nel caso di fallo, un’inquadratura è per chi l’ha subìto (5) e una per chi l’ha commesso (6). Nel tiro di punizione o del calcio d’angolo, un’inquadratura è per chi tira (7) e una, quando si forma, per la barriera (8). Dopo il gol, momento liberatorio del calcio, un’inquadratura è per chi ha segnato (9) ed eventualmente un’altra è per chi ha fatto l’assist o l’ultimo dribbling vincente (10), se non per chi lo ha perso. Ogni volta che il gioco riprende, per un tiro dall’angolo o per una rimessa dal fondo o per una rimessa laterale, il regista può proporre un’inquadratura d’attesa della palla (11) oltre quella di chi la rimette in gioco (12). All’interno del rettangolo io non credo ci sia molto di più. La semiotica della ripresa televisiva del calcio si fa con una sola dozzina di immagini. Appena usciti dal rettangolo di gioco, altre descriveranno gli altri protagonisti dell’evento: i guardalinee, le panchine, il pubblico; le situazioni pre e post-partita: il cerimoniale di inizio, la premiazione alla fine della partita, l’ambiente in cui essa si svolge. Ma, complessivamente, il vocabolario televisivo del calcio consta di poche parole. Contravvenendo all’impostazione tradizionale della telecamera centrale in tribuna, si potrebbe immaginare che una veloce spinta offensiva o un improvviso contropiede o qualche altra fase di giocò possa essere ripresa dal totale di telecamere alte poste più a favore dell’asse longitudinale del campo, sulla diagonale o in curva. Questi punti di osservazione sono normalmente usati nei replay ma, in diretta, non si è mai fatta l’ipotesi di capovolgere il sistema di ripresa dalla telecamera centrale alle telecamere sulle curve. La partita televisiva si sviluppa sull’asse orizzontale del campo, al contrario della partita di tennis, per esempio. Un’altra variante al totale della telecamera centrale potrebbe essere costituita dalle inquadrature di due camere simmetriche tra loro, a coprire ognuna una metà del campo sullo stesso lato. Questa ipotesi fu fatta da Robert Kenny nel 1970 in Messico, ma non fu accettata per quel campionato del mondo. Se lo fosse stata, probabilmente le nostre convenzioni di ripresa sarebbero oggi diverse. Queste ipotesi, ed altre che si potrebbero fare, contravvengono infatti a delle regole codificate e in modo particolare a due di esse: che la partita debba essere vista dall’alto della tribuna e in asse col centro del campo (essendo considerata questa la posizione migliore) e che il punto di vista non cambi. L’evoluzione del linguaggio ha però in parte modificato la rigidità di questi assunti. All’inizio degli anni Cinquanta, la televisione aveva acquisito al calcio l’unità dello spazio e del tempo, rispetto alla frammentarietà dei montaggi cinematografici dell’anteguerra. Lo zoom è del 1960. La ripresa si libera della durezza delle ottiche fisse e l’operatore, interpretando con la propria sensibilità gli spazi di gioco in un unico pianosequenza ininterrotto, sembra ricondurre lo spettacolo alla continuità di chi lo vede dalla tribuna. Durante gli stessi anni Sessanta però, una maggiore attenzione ai protagonisti del gioco e la possibilità della ripetizione dell’azione, consentono una nuova rappresentazione del calcio. La televisione rifrantuma l’unità del punto di vista, collocando le telecamere in varie parti del campo per vedere meglio gioco e giocatori. La personality camera mette in crisi il piano-sequenza ininterrotto. La ripetizione dell’azione e lo slow-motion romperanno la convenzione del tempo reale come tempo televisivo. L’unicum spaziale e temporale è definitivamente eclissato: il rapporto tra totale e campo stretto in asse, prima articolazione grammaticale tra due inquadrature, si arricchisce delle immagini provenienti da molti altri punti di vista. L’alfabeto della ripresa rimane lo stesso, cambiano però la qualità dell’immagine e l’articolazione del linguaggio. Nasce una "grammatica di ripresa" e si definisce in alcune situazioni chiave. Durante l’azione di gioco, il totale può sempre essere alternato ad un campo più stretto sullo stesso asse e con la stessa angolazione. Una serie di inquadrature provenienti da telecamere non in asse tra loro porta invece, solitamente, alla perdita della corretta percezione del gioco in movimento ed è molto fastidiosa. La continuità è una delle convenzioni operative della ripresa di una partita di calcio e si fonda su ragioni molto solide. Nella fiction cinematografica un soggetto in movimento può essere visto da più punti di osservazione. Nel calcio, invece, giocano fattori diversi e concomitanti a sconsigliare uno scambio non ragionato del punto di vista: innanzitutto la assoluta imprevedibilità del movimento (contrariamente a quanto avviene nell’atletica, per esempio), poi la contestualità in gioco di più giocatori e la necessità di far capire la posizione sul terreno di ciascuno di loro. Ciò sarebbe molto difficile cambiando il punto di vista e alternando liberamente inquadrature di telecamere posizionate ovunque nello stadio. Questa regola non impedisce, durante il continuum di gioco, di passare dal totale della telecamera in tribuna al campo stretto della telecamera posizionata sul terreno tra le due panchine, perché tutte e due sono sullo stesso asse, come si è proposto in fig. i e 2. Un'quadratura dal basso è di grande suggestione, specie se usata in azioni che avvengono vicino alla telecamera. Il telespettatore ha l’impressione di scendere in campo tra i giocatori. Tutt'altre regole valgono per le situazioni a gioco fermo: dopo il fallo, prima della punizione, prima del corner, prima della rimessa dal fondo o della rimessa laterale, dopo il gol. In queste situazioni, l’alternanza di totali e campi stretti, anche non in asse tra loro, con diversa angolazione e purché nell’ambito dei 1800, consente una ricca articolazione di linguaggio e la piena espressione delle situazioni in campo. A gioco fermo la perdita della corretta percezione degli spazi è poco influente, non tanto almeno da precludere la possibilità di racconto. Un giocatore che inveisce contro l’arbitro e l’arbitro che gli mostra il cartellino di ammonizione, restano due fatti evidenti anche se sono stati ripresi da due telecamere non in asse tra loro. Questa maggiore libertà (non “assoluta” libertà) di coniugare le inquadrature tra loro porta ad un linguaggio di ripresa, a gioco fermo, che si esprime in sequenze-tipo, più o meno ricche. Le esemplificazioni che qui se ne fanno con fotografie di frames (fermi di fotogrammi televisivi) richiedono di essere immaginate come vere e proprie strutture linguistiche, le Cui configurazioni spaziali vanno lette in successione e in sviluppo temporale. Ne esaminiamo tre: un calcio d’angolo, un tiro di punizione, un rilancio del portiere. Il calcio d’angolo potrebbe essere visto in modo più chiaro da una camera posta in tribuna sull’asse dei sedici metri, invece che da metà campo. La sequenza che mostriamo (questa e le altre due sequenze, così come i frames della pagina precedente, sono ricavati per omogeneità da una sola partita: si tratta di Liverpool-Wimbledon giocata a Wembley per l’ultima edizione della Coppa di Inghilterra) propone inquadrature tradizionali, anche se molto efficaci. Al totale del campo di azione, dall’angolo alla porta, segue il posizionamento sotto area da camera bassa; quindi l’individuazione del giocatore abile nel gioco aereo e del difensore che predispone i compagni. Il tiro è visto in campo stretto per individuare il giocatore e si conclude con la parata del portiere in totale. |
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La preparazione al tiro di punizione può essere vista dalla camera centrale, ma anche da dietro la porta, con camera alta o bassa sulla diagonale del campo. Prendiamo la classica punizione con barriera: nella sequenza che mostriamo la preparazione al tiro è vista da una camera posta dietro il portiere, il quale viene poi individuato frontalmente mentre dà disposizioni ai compagni. La barriera, controllata dall’arbitro, è sulla terza inquadratura; segue il campo stretto del giocatore incaricato del tiro e infine il totale da camera centrale prima dell’esecuzione. La sequenza potrebbe essere costruita con successione diversa, ma gli elementi di racconto restano sostanzialmente gli stessi. Anche il rilancio del portiere consente alcune possibilità di coniugazione di inquadrature. La sequenza propone un totale visto dal portiere avversario, il contro campo del portiere che si appresta al rilancio, il totale d’attesa dei giocatori in campo, il campo stretto frontale del portiere che rilancia e, per concludere, il campo stretto dei due giocatori in contesa sulla palla. Si tratta di una sequenza spettacolare, giocata sulle camere basse e sulla molteplicità dei punti di ripresa, che ha bisogno di un tempo sufficientemente lungo per essere realizzata. Una variazione interessante al consueto modo di realizzare il rilancio del portiere è stata introdotta nella sequenza. Al momento del tiro, che qui avviene sul quarto frame, la palla potrebbe essere seguita in totale da camera centrale per tutta la sua traiettoria; oppure, come qui si è fatto, la telecamera può restare sul portiere, in attesa, fino al momento prima dell’arrivo a terra, che viene ripreso con campo stretto centrale sui giocatori in contesa. Il risultato dell’attesa sui portiere è una curiosa microfrattura del continuum visivo, che vorrebbe invece che si seguisse sempre la palla quando essa è in gioco. Questo o poco più, per concludere, è il modesto ambito grammaticale consentito alla ripresa di una partita di calcio. Esso si può riassumere nella possibilità di variazioni di campo sullo stesso asse, con ò senza la stessa angolazione, durante il continuum di gioco; nella possibilità di variazione di campo e di asse di ripresa a gioco fermo; nella possibilità di variazioni di asse e di campo ma con rientro sull’asse centrale nelle situazioni di ripresa del gioco. Ciò nonostante, la possibilità di scelta di inquadrature, pur avvenendo in un ambito non illimitato, può condurre ad interpretazioni sbagliate o fuori tempo. Il totale garantisce sempre, anche se non nel modo migliore, la visione di quanto sta accadendo in campo. Il gioco delle personality cameras, la frammentazione eccessiva della sequenza, può invece portare ad una complessiva perdita di significato. Se la bella inquadratura del giocatore a terra impedisse di vedere l’arbitro che mostra il cartellino al giocatore che ha commesso il fallo, se le scuse di questo nascondessero alla vista la reazione di un avversario contro un suo compagno, ci si potrebbe trovare di fronte a una bella sequenza priva di senso. Una sequenza inutile in sé e dannosa per il racconto. Il racconto televisivo della partita si è inizialmente costruito sulla interpretazione degli spazi del campo, tramite l’alternanza tra totale e campo stretto, gioco di squadra e gioco individuale. Il bianco e nero smaterializza situazioni e giocatori; il colore, già tecnicamente possibile alla metà degli anni Sessanta, trova la sua diffusione con i campionati del mondo del 1978 in Argentina. La ripresa sonora compie un salto di qualità con le Olimpiadi di Montreal del 1976. Colore e migliore ripresa sonora accentuano il realismo della rappresentazione televisiva. La specificità del suono sull’immagine, la sua individualità, mette il telespettatore in condizioni migliori di quelle degli spettatori allo stadio, i quali, molto spesso, percepiscono i giocatori in campo come dentro un acquario, in una indistinta cornice sonora. La ripetizione dell’azione e la possibilità di rivederla da più punti di vista, la possibilità di rallentarla pér seguirne meglio lo svolgimento (i primi rallenty sono di venti anni fa), offre allo spettatore televisivo elementi di valutazione maggiori di quelli che si hanno guardando direttamente la partita. In questi anni abbiamo assistito all’ingresso in campo dell’informatica e poi della grafica e — da non molto — della elaborazione delle immagini analogiche televisive in immagini sintetiche del graphic computer. Sul piano del linguaggio siamo nel pieno della drammaturgia televisiva del calcio: il racconto procede autonomamente e indipendentemente dai modelli offerti agli spettatori privilegiati in tribuna o a quelli meno fortunati in curva. La tv è una continua trasgressione della partita come è vista dagli spettatori allo stadio. È un prodotto semiologico che non copia quello esperienzale, anzi! Lo modifica sostanzialmente, offrendo sensazioni e dati completamente diversi. Alcune caratteristiche dei modi di racconto sono già evidenti quando si prendono in esame le immagini statiche, le lettere dell’alfabeto televisivo del calcio. La stessa inquadratura, lo stesso campo, si ottiene posizionando la telecamera più in alto o più in basso sulle tribune, più vicino o più lontano dal campo di gioco. Altra cosa è rivedere il gol dalla camera alta in tribuna e con un totale, altra è rivederlo da una camera bassa, posta dietro la porta e in campo stretto. Il totale della camera alta e distante dal terreno esalta i contenuti informativi, esplica bene lo schema di gioco e la sua geometria. Il campo stretto della camera bassa e vicino al campo esalta i contenuti emozionali dell’azione individuale. Con la prima risulterà chiaro lo smarcamento del giocatore, l’assist e la direzione del tiro; con la seconda sarà evidente la potenza del tiro e lo sforzo vano del portiere di intercettare la palla. L’uso del primo o del secondo tipo di queste inquadrature, l’abbondare cioè di camere alte, lontane e in totale, piuttosto che di quelle basse, vicine e in campo stretto, modifica sostanzialmente il senso complessivo della partita. Nel primo caso, il racconto privilegia i contenuti informativi, nel secondo quelli emozionali. I primi racconti televisivi del calcio consideravano la continuità e la centralità del punto di vista come un dato essenziale della partita televisiva. Non era forse l’unico elemento capace di mutuare la mitica situazione dello spettatore in tribuna? Non si diceva che le telecamere erano “gli occhi del telespettatore?” Attualmente i registi muovono liberamente il punto di osservazione delle telecamere secondo le fasi di gioco, pur facendo differenze tra gioco in movimento, gioco fermo e ripresa del gioco. L’alternanza dei punti di vista, rispetto alla staticità di quello centrale, rende più gradevole la partita televisiva. Un linguaggio ricco esprime meglio quanto avviene sul campo, quando le scelte siano quelle opportune. Sul piano del racconto, la differenza tra una ripresa impostata sulla camera centrale, rispettosa dei momenti vuoti di gioco (il recupero della palla, per esempio) o dei momenti di preparazione (del tiro di punizione, per esempio) e una ripresa che invece interpreta questi tempi con le personality cameras, cogliendo gli umori dei protagonisti oltre che gli schemi di gioco, è evidente. Il primo tipo di ripresa appartiene ad una televisione referente, produce un racconto-documento della partita; il secondo gioca sulle interpretazioni e tende alla spettacolarizzazione. E questi due modi hanno ciascuno un proprio pubblico di estimatori. Altre modalità di racconto della partita televisiva si giocano sull’asse del tempo. Il tempo è il secondo parametro su cui si imposta il racconto televisivo, considerando come primo l’interpretazione dello spazio per il tramite delle inquadrature. La diretta televisiva nasce come identità tra tempo reale e tempo televisivo. Il replay è una deliberata rottura di questo principio. Con il rallenty siamo di fronte a una doppia manipolazione del tempo: la registrazione rallentata è tempo posticipato e manipolato, un fatto assolutamente televisivo. L’alternanza di azione in diretta e azione registrata o rallentata, è oggi una delle condizioni essenziali al racconto della partita. Essa avviene con modalità diverse: la maggior parte delle volte il regista manda in onda la ripetizione subito dopo che l’azione si è conclusa; qualche volta a distanza di tempo, quasi fosse una memoria; qualche volta a tempo scaduto, come sintesi della partita o come prolungamento dello spettacolo che essa ha offerto. L’uso del replay e del rallenty evidenzia in maniera ancora più chiara la diversità tra la situazione del telespettatore a casa e quella dello spettatore in tribuna. A fronte di un gol fatto o di un gol mancato o di un gol negato dall’arbitro, lo spettacolo televisivo consiste nella ripetizione chiarificatrice o edonistica dell’azione da gol. Tutt’altro avviene in campo. I due avvenimenti sono percepiti e vissuti in modo del tutto diverso. La prossima rivoluzione del racconto televisivo del calcio potrebbe avvenire con le immagini sintetiche. Il graphic computer è in grado di ricostruire, in modo sempre più realistico e in tempi sempre più brevi, l’azione che si è svolta in campo. Il racconto per immagini computerizzate può arricchirsi di tutti i dati quantistici dell’azione e dei suoi protagonisti (distanze, velocità, occupazione degli spazi del campo, numero dei palloni presi, giocati, perduti ecc.). La telecamera del computer può offrire l’azione da qualsiasi punto di vista, comprese le soggettive del portiere o quella in movimento del giocatore che va verso la porta o quella dell’arbitro che accompagna l’azione o dello stesso pallone che viene lanciato. Addirittura può vedere l’azione da punti di vista impossibili: da sotto il terreno di gioco, per esempio. Tra poco il graphic computer sarà in grado di riproporre istantaneamente le azioni riprese dalle telecamere. Ne potrà derivare, in diretta, una sconvolgente commistione tra immagini analogiche e immagini sintetiche, con risultati simili — in diretta — a quelli che le rubriche sportive ci propongono già da tempo come analisi e approfondimento della partita. Ma altro potrà ancora succedere. Il graphic computer è in grado di copiare l’azione di gioco, ma anche di inventarla. Può comporre sequenze di azioni esemplificative di un modulo di gioco e può individuare le contromisure tecnico-tattiche di quel modulo. Può estrapolare le caratteristiche di un giocatore, ricostruirne le masse muscolari e l’aspetto fisico, misurarne la velocità di azione, evidenziandone la tecnica e le caratteristiche di gioco. Lo può far scendere in campo con giocatori di altre epoche. La partita impossibile potrebbe essere, tra poco, possibile. Un
gioco? Un arricchimento dell’attuale partita televisiva? La
prosecuzione di quel mito cominciato con il cinema muto o la sua
parabola discendente? |
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Giancarlo TOMASSETTI |