LE CRITICHE DEI TELESPETTATORI


Insieme agli apprezzamenti sulla capacità delle riprese di riuscire a far vedere tutto o quasi tutto di ciò che succede in campo, le critiche che si fanno ai registi del calcio (specie dagli appassionati di calcio) sono sostanzialmente due e vengono espresse quasi sempre con le stesse parole:

  • perché mi fai vedere tanti replay quando c’è gioco e la palla è già arrivata dall’altra parte?
  • perché mi fai vedere i primi piani invece di farmi vedere la partita?

La seconda di queste obbiezioni è la più curiosa, specie nel linguaggio.

Circa la prima (senza affrontare un discorso, che pure sarebbe ormai storicizzabile, sulla nascita della “partita commerciale” ai tempi di Telepiù) la mia risposta è semplice e secca. Si copre l’azione in diretta con tanti replay, non perché i replay non siano importanti e non possano addirittura essere più importanti della “azione ininfluente”, bensì perché non vengono scelti. Scegliere comporta capacità e responsabilità. Mandarne tanti evita di dover scegliere e ordinare quelli corretti in modo coerente. Questo è difficile, allora li mando tutti e ho risolto!
Controprova? Conoscete i criteri con cui si scelgono i replay? Li vedete applicati? Quante volte vi trovate davanti a replay sbagliati o inutili o doppi?Quante volte non c’è nessuna logica nella loro successione?
Altra controprova? C’è sempre, nell’organizzazione della ripresa, una “regia replay” o è il “regista live” o un coordinatore tra i replaisti ad occuparsi direttamente e male della coerenza e l’opportunità delle scelte?
Nella realtà, il numero e la successione dei replay nascondono spesso l’incapacità di una scelta o la sua impossibilità.

Avviene la stessa cosa con la moltiplicazione dei primi piani, ma il caso è più grave. La vera e propria farcitura di primi piani, avviene nei cosiddetti “tempi morti” della partita, quindi investe direttamente la rappresentazione del tempo nella partita (lo spazio è rappresentato dalle inquadrature).
Nella filosofia volgare (e imperante) i “tempi morti” sono tutti quelli in cui non c’è azione. Tutti i registi sono pronti a negare questa affermazione ma, di fatto, tutti vi aderiscono. Con risultati spesso sconcertanti. Pensate a quella fase di gioco che si chiama “melina” o “torello”: il regista, invece di farla vedere per come è fatta, la “ravviva” con stacchi e primi piani, illudendosi di “animare” la partita, con l’evidente intenzione di cambiarne i connotati. (Si tratta del regista-padrone della partita, a cui non importa nulla, nè della partita nè del telespettatore. La partita è una palestra per i suoi privati esercizi di regia). Pensate al tempo di rimessa della palla, al tempo di rilancio del portiere, al tempo di difesa della palla (sono tutt’altro che un esperto di calcio ma mi sembra che metà del calcio italiano vincente si basasse su difesa della palla e calcio lungo!). Pensate che addirittura il tempo della decisione dell’arbitro viene considerato un “tempo morto” da riempire di primi piani se non dei replay del fallo. (Spesso, quel tempo si riempie con mirabolanti ricostruzioni in rallenty dell’ammonizione, con il dettaglio del cartellino, le smorfie dell’ammonito, lo stupore del colpevole: un’espressione artistica! Del tutto personale!). Pensate che è considerato tempo morto anche la “palla al centro e risultato”, che è uno dei fondamentali del gioco!
Ebbene, tutti questi tempi vengono ritenuti morti, inutili, occasione per un florilegio di replay o di primi piani (dei quali molti non legati ai protagonisti dell’azione). Pensate: la durata stessa del primo piano non è dettata dalla sua necessità di informare sul protagonista, bensì dalla durata del “tempo morto”! Il regista tiene quel primo piano non per quanto è necessario ma per riempire il “tempo morto”.
E’ illuminante capire cosa succede in regia alla interruzione di un’azione. Di fronte al tempo che ritiene morto il regista è preso da una sorta di horror vacui, non riesce ad accettare e “far vedere” quel tempo per quello che è, si sente inutile e infine cede al proprio decisivo intervento in corpore vili, con la farcitura.
Sta soltanto difendendosi dalle sue paure e riaffermando il suo ruolo.

Per cui, ritengo tutt’altro che curiosa l’espressione del telespettatore: ”Perché mi fai vedere i primi piani invece di farmi vedere la partita”? Il fatto è che – spesso più del regista – l’appassionato di calcio sa dov’è la partita!


P.S. Attenzione, nell’uno e nell’altro caso, ad una interpretazione superficiale: quella di pensare che con meno replay e meno primi piani il problema sarebbe risolto. E’ una falsa soluzione. La farcitura di replay e di primi piani avviene all’interno di una concezione della partita e di un atteggiamento del regista, attiene sia ad una idea della televisione che alla concezione del proprio ruolo. Negli anni ’80 venne messa in discussione l’antinomia tra “televisione referente” e “televisione interprete”. Il problema era se dovesse, la televisione, riferire di quanto sta succedendo in campo mostrandolo come da una finestra o se, invece, dovesse essa stessa entrare in partita e interpretarne le fasi, ricostruendone spazi e tempi con le proprie tecnologie e modalità. Si andò verso una soluzione che si può riassumere nell’espressione di “televisione congruente”, ovvero rapportata ai fatti.
Congruenza sta per “convenienza, corrispondenza, proporzione tra due cose”.
Poi c’è il regista: tra quei due estremi interpretativi si configura anche il suo ruolo. Mi limito a mostrare, mi faccio guidare dalla realtà, resto congruente con quanto vedo in campo oppure… intervengo, costruisco (falsifico, anche, nei tempi e negli spazi), faccio spettacolo di quanto succede?
E i registi – confesso – sono sempre iperattivi!

(maggio 2012)
 

Giancarlo TOMASSETTI

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